Blognotes di viaggio: Malesia e Singapore. Seconda parte

Malesia 06.2009 090Malacca si trova a circa due ore di macchina da Kuala Lampur, lungo un’autostrada dritta e ampia, che taglia le foreste di palme da olio. Ci raccontano come le palme da olio sono uno dei beni piu’ preziosia: sono i primi produttori al mondo ed e’ un bel business, visto i molteplici utilizzi (da questo realizzo anche che tutto il cibo che avrei mangiato da li’ in poi sarebbe stato condito o fritto con olio di palma… vabbe’…), in particolare per la cosmesi. L’unico dettaglio e’ che le palme da olio non sono oriunde della Malesia ma sono state importate dall’Africa e la cosa fa una certa impressione perche’ guardando dall’aereo si vedono ovunque immense distese di palmeti, dove una volta c’era ben altra foresta (ma lo stesso, in fondo si potrebbe dire dell’Italia e delle coltivazioni di pomodori, mais… etc). Oltre alle palme da olio, ovviamente, il petrolio e lo stagno ne fanno un paese decisamente ricco.
Nelle cittá colpisce, infatti, una certa sensazione di sicurezza: non so se sia la rigidita’ della legge (pena di morte per spaccio, furto, divieto assoluto di mendicazione…) o un effettivo relativo benessere (ci dicono che qui non sanno che cos’e’ la disoccupazione, anzi: avrebbero bisogno di piu’ mano d’opera), ma apparentemente non sembra esserci delinquenza. In tutto il viaggio, non abbiamo visto nemmeno un senzatetto, anche se sicuramente una buona fetta della popolazione vive con standard veramente bassi.
Malacca (da Melaka, un albero della zona che fa frutti rotondi) e’ una graziosa cittadina storica, dove si riconoscono ampiamente i passaggi e le dominazioni straniere nell’arco dei secoli. Primi i portoghesi, poi gli arabi con il commercio, quindi gli olandesi di cui si vedono ancora i quartieri rossi. Gli inglesi hanno soppiantato gli olandesi (su richiesta di questi, erano troppo impegnati in europa…) e vi sono rimasti per secoli, fino a dopo la seconda guerra mondiale, salvo una breve pausa giapponese. Visitiamo il museo della storia recente (anche perche’ di passata non ce n’e’ tanta…), dove ci raccontano con fierezza che loro non hanno dovuto combattere per l’indipendenza dall’Inghilterra, l’hanno ottenuta con un trattato che in sostanza dice “se riuscite ad andare daccordo e a non fare guerre interne potete essere indipendenti, se qualcosa non funziona tornate sotto la nostra protezione”. Mentre nella mia testa risuona la parola Commonwealth, mi raccontano di quanto sono stati importanti gli inglesi, che hanno portato le scuole, gli ospedali, l’industria e soprattutto li hanno liberati prima dalla dominazione giapponese della seconda guerra mondiale e poi dalle sanguinose lotte interne sull’onda della rivoluzione rossa (per la cronaca, “indipendenza” in malese si scrive e si dice “Merdaka”, nome ricorrente di diverse vie, piazze e monumenti).

L’occupazione giapponese merita una parentesi, perche’ le loro vicende non sono cosi’ note da noi. Ci raccontano che i giapponesi hanno invaso la Malesia in bicicletta, il che di suo ha gia’ dell’incredibile, e l’hanno quindi usata come stazione per costruire i loro carrarmati. Molte citta’ sono state rase al suolo, soprattutto nel Borneo, durante la loro ritirata: gli davano fuoco per non lasciarle ai “nemici” (che di loro le avevano giá bombardate). Il risultato si vede chiaramente dalle foto: in molte citta’ in malesia, tutto quello che si vede e’ stato costruito dopo la seconda guerra mondiale.

Malesia 06.2009 084

Tornando a Malacca, tra le cose piu’ insolite i negozi dei cinesi che vendono emuli in carta di oggetti della vita quotidiana (dai piu’ moderni ai piu’ classici: radio, auto, televisioni, cellulari, pentole, tazzine,…). La gente li compra per bruciarli quando una persona muore, perche’, ci spiegano, nella tradizione cinese gli oggetti bruciati il defunto se li ritrova nell’aldila’ e l’obiettivo e’ far si’ che non gli manchi nulla. Alcuni negozi, ci dicono, sono utilizzati per esporre i morti prima della sepoltura di modo che i parenti e gli amici possano andare a salutarli. Tutta la tradizione funeraria cinese, che io non conoscevo, e’ molto interessante. Per esempio, i cimiteri dei cinesi in Malesia sono su colline e hanno lapidi a forma tondeggiante. La posizione in alto e’ importante, una guida ci dice per via della maggior vicinanza al cielo, l’altra aggiunge che la collina e’ da immaginarsi anche come un simbolo del ventre materno, da cui tutti nasciamo e in cui ritornare per poter rinascere. Ci raccontano anche che i funerali cinesi sono molto costosi, loro stessi in vita mettono da parte dei soldi per il loro saluto d’addio, che non deve essere a carico dei familiari e che puo’ durare molti giorni, a volte settimane.
La giornata passa piuttosto in fretta, anche qui tra diversi templi e scorci marini.
Al rientro a Kuala Lampur decidiamo di visitare il centro commerciale dedicato all’elettronica: alcuni piani di un grande edificio pieno zeppo di negozietti che vendono computer, periferiche, gadget, cavi, molti rivenditori ufficiali di grandi marche ma anche molte piccole botteghe con i commessi all’interno che smontano e rimontano computer.

elettronica

L’esperienza e’ piuttosto insolita, l’aria e’ un po’ da scantinato, ricorda un po’ quei negozietti che c’erano una volta anche qui in Italia, ormai praticamente estinti, dove entravi e trovavi matasse di cavi, scaffali di ferro in cui erano impilati hard disk e nel contempo erano esposti in vetrina, su scatoloni polverosi e con brandelli di scotch ingialliti, le ultime novita’. Dietro il bancone il commesso, spesso in camice, con gli occhiali e un cacciavite che spuntava dal taschino, dall’aspetto decisamente nerd.

Ecco, si potrebbe dire che non era un posto da geek, ma da nerd. Con questo penso di aver detto tutto.

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*